Lettera degli allenatori

Cari amici,
abbiamo scelto a suo tempo il rugby per allontanare noi ed i nostri figli dalle isterie di altre discipline, nelle quali la ricerca del risultato è la regola, non una (possibile) conseguenza; nelle quali mancanza di rispetto e derisione sono abitudine di vita, e non anomalie; nelle quali l’amico ed il compagno sono scelti solo se aiutano a far emergere le proprie doti, ed in caso contrario vengono discriminati ed allontanati; nelle quali il genitore spesso vuole che il bambino lo aiuti a soddisfare le proprie aspettative frustrate, invece che cercare di dargli la forza e la pazienza di crescere e rinforzare il proprio carattere tramite il gioco.
Poi perché è uno sport democratico: più una squadra ha diverse capacità, stazze, velocità, furbizia da porre in gioco e più è completa. Tutti sono utili, tutti sono indispensabili.

ll rugby è il nostro ideale di sport. Finora, almeno, lo è stato.

Ora, però…..
Sentiamo sospirare purtroppo venti che non ci piacciono.
Venti che parlano di bambini vincenti e bambini perdenti. Di bambini “fisici” e di bambini “sfigati”.
Di bambini bravi e di bambini schiappe. Di selezione naturale, ci par di capire. E rabbrividiamo.
Infatti, noi in campo vediamo solo bambini. Ognuno con i suoi difetti ed i suoi pregi, ognuno offrendoci il proprio entusiasmo e le proprie paure.
Bambini che stanno crescendo con noi, e per i quali sentiamo una grossa responsabilità educativa.
Bambini che devono capire quante cose possono riuscire a fare, quanti ostacoli possono superare, da soli ma soprattutto con l’aiuto degli altri.
Le vittorie di cui ci vantiamo non sono certo quelle sportive: è sapere che corrono meglio, che hanno superato un loro limite, che si trovano meglio con se stessi, che hanno acquistato serenità. Le nostre sconfitte più brucianti non sono certo quelle subite sul campo: sono il non riuscire a capire le problematiche del bambino, non riuscire a farlo legare con gli altri, non aiutarlo a eliminare le sue paure o – peggio! – creargliene di nuove.
Tutto questo non significa certo tralasciare l’aspetto sportivo, anzi. Solo che cerchiamo di metterlo al suo giusto posto: cerchiamo di insegnare prima di tutto a “sentire” il rugby, poi a “viverlo”, infine a giocarlo ed a divertirsi giocando. Insegnare a vincere, o giocare per vincere, con tutto questo, non c’entra un beato cavolo.
Dai 16/18 anni in su, con una struttura fisica già un po’ meglio delineata e grazie alle competenze tecniche e tattiche acquisite giocando ed allenandosi con allenatori sempre più preparati e capaci, si potrà finalmente vedere se c’è o meno la stoffa del giocatore. Sempre che scuola, ragazze, amici, semplice mancanza di voglia di continuare non li fermino. Fino ad allora, l’unica considerazione da fare è “speriamo che si diverta ancora”.

Lunghissima ma necessaria la premessa: serve per dire che per noi tutti i bambini sono uguali, che non ci sono né campioni, né schiappe. Cerchiamo di fare in modo che ogni bambino si alleni e giochi, e nei tornei che giochi in una squadra dove le sue esigenze psicofisiche vengano il più possibile rispettate e potenziate. In quella squadra ogni bambino potrà per noi dare il suo massimo, se possibile migliorando. E’ inutile nascondersi dietro ad un dito, ci sono personalità che non si divertono, anzi, si annullano giocando in certe situazioni o con bambini con caratteristiche diverse dalla loro; altri invece che in determinate situazioni danno il meglio di sé. E questo avviene anche se noi, genitori ed allenatori, volessimo il contrario.
Il futuro sconvolge a volte queste situazioni, talora addirittura le capovolge. Ma ad oggi è la loro volontà, la loro natura. Purtroppo non la conosciamo a priori. Il nostro compito è cercare di interpretarla e di rispettarla. Questo cercheremo di fare “sperimentando” durante i concentramenti ed i tornei. Nei quali quindi non giocheranno assolutamente una squadra A ed una squadra B, ma due squadre composte da bambini con diverse caratteristiche.
E ricordiamo anche che le squadre devono essere composte da 12 giocatori + riserve ciascuna: una scelta purtroppo sarà sempre necessaria.

Però non siamo allenatori professionisti, né psicologi; ci documentiamo e ci aggiorniamo, certo, ma nonostante tutto il nostro impegno, capita di prendere decisioni sbagliate. E sin da ora ce ne scusiamo, se questo avverrà.
Cerchiamo tutti però di avere la pazienza di aspettare, senza forzare i loro tempi.
La crescita e la maturazione dei bambini non sempre è costante o prevedibile nei tempi e nei modi.
E poi, guardateli un paio di minuti dopo che è finita la partita: corrono mangiano e si divertono come se nulla fosse accaduto. Ci insegnano insomma che – alla fine – è solo un gioco. Il momento in cui da loro si vorranno risultati (nello sport ma soprattutto nella vita) verrà, purtroppo: grazie a Dio, c’è tempo perché quel giorno arrivi. Lasciamo che se la godano, sino ad allora.

Infine, rivolgiamo a tutti una preghiera:
Fate particolare attenzione alle frasi ed ai commenti che pronunciate: rendetevi conto che siete degli adulti, dei genitori Quindi le vostre parole, per i bambini, sono “verità”. E queste “verità” possono minare – se udite – la serenità e la fiducia in se stessi dei ragazzi in un’età che per loro comincia ad essere difficile.

Gli educatori Under 12
David, Marco e Mauro

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